A giugno dello scorso anno Bizzarro Books ha iniziato la lavorazione del libro di Guy Colwell Inner City Romance, uscito questa settimana in libreria.
Approfittiamo dell’occasione per ripubblicare l’articolo che scrisse Dario Morgante, il curatore della Bizzarro Books: Pubblicare in Italia “Inner City Romance”, il fumetto culto di Guy Colwell.
In tempi come questi, con le notizie che giungono dai media e le campagne #BlackLivesMatter che hanno fatto seguito alla brutale morte del cittadino afroamericano George Floyd, è con un certo orgoglio che lavoro all’edizione italiana di un classico dell’underground americano: Inner City Romance di Guy Colwell.
Originariamente una serie a fumetti pubblicata tra il 1972 e il 1978 dalla casa editrice underground Last Gasp of San Francisco, Inner City Romance è, prima di tutto, un viaggio catartico, violento e spudorato all’interno delle subculture che, tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta, ridefinirono l’assetto culturale degli Stati Uniti d’America.
Come se non bastasse, il capolavoro seminale di Colwell (quasi duecento pagine di amori lisergici, abusi di sostanze psicotrope, sesso più o meno contemplativo e riots con l’onnipresente polizia) è un inno d’amore alla cultura afroamericana dei ghetti, il che colloca Colwell, bianco e caucasico, nella scia di altri «negri bianchi» quali il jazzista Mezz Mezzrow di cui, incidentalmente, ho curato l’autobiografia (Questo è il blues, Red Star Press).
Ma se Mezzrow, morto nel 1972 (lo stesso anno in cui Colwell pubblicava il suo primo albo spillato in bianco e nero), era stato testimone e assieme portavoce e rappresentante di notevole caratura dell’epocale rivoluzione del jazz, Colwell è invece spettatore attonito della controrivoluzione borghese determinata a spazzare via la Summer of Love e i figli dei fiori, inseguiti nella loro roccaforte di San Francisco dai fantasmi di Attica.
Le storie di Colwell non sono romantiche, va detto subito. I protagonisti sono tossici, ex galeotti, assassini, omosessuali, spacciatori, prostitute e papponi. Nel suo universo senza redenzione la droga appare il leit motiv decisivo, capace di corrompere e, al tempo stesso, di essere la fuga necessaria dai pigs.
Per Colwell, che aveva dovuto lasciare la scuola d’arte per difficoltà economiche e che faticava a mettere assieme il pranzo con la cena, era essenziale riuscire a raccontare, a testimoniare, le cose che gli accadevano, o che accadevano ai suoi amici.
Quando esce il primo numero di Inner City Romance, Colwell ha ventisette anni. Prima di allora aveva lavorato sporadicamente alla stampa underground di movimento poi, per due anni – sorprendentemente – alla Mattel, come scultore, ed era stato in carcere per due anni per renitenza alla leva.
Dai primi Settanta lavora come illustratore per il settimanale di movimento «Good Times» e vive assieme alla comune che ne costituisce la redazione, per poi abbracciare la pittura, che lo accompagnerà tutta la vita.
Definito dalla critica un «pittore surrealista socialista», Colwell prosegue la sua carriera fino ai giorni nostri, con alterne fortune. Dovrà aspettare infatti fino al 2012 per meritare un articolo sulla “bibbia” della controcultura americana, «Juxtapoz».
Oggi Guy Colwell è un signore sui settantacinque anni di età, con un discreto riconoscimento, soprattutto artistico. Nel 2015 la casa editrice Fantagraphics ha dato alle stampe la raccolta dei cinque albi originali che compongono l’affresco di Inner City Romance.
Tutto l’amore, la rabbia, la militanza politica, il carcere e il ghetto sono ancora lì, inalterati. Colwell ha aggiunto di suo pugno delle introduzioni ai vari capitoli che contestualizzano quanto il lettore trova narrato.
Per scrivere questo articolo ho preso una piccola pausa dal lavoro di adattamento e revisione che sto compiendo proprio su quel libro che, tradotto dal bravo Marco Bisanti, sarà pubblicato quest’anno dalla Red Star Press.
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