Nato nel 1864 in Russia, Alexej von Jawlenski era un’anima inquieta. Lasciò la carriera militare per inseguire la sua vera passione: la pittura. E non si limitò a dipingere fiori e paesaggi, no! Lui voleva catturare l’essenza dell’anima umana, con pennellate cariche di emozione.
L’amore, un vortice di emozioni
La sua vita sentimentale fu un vero romanzo. Incontrò Marianne von Werefkin, una donna forte e indipendente, anche lei pittrice. La loro relazione fu un mix di passione, arte e qualche litigata epica. Non si sposarono mai, ma il loro legame durò tutta la vita. E poi c’era Helene Nesnakomoff, la governante, che divenne sua moglie e madre di suo figlio. Un triangolo amoroso degno di una soap opera russa!
L’arte come specchio dell’anima
Jawlensky non aveva paura di mostrare le sue fragilità. Le sue opere sono piene di volti intensi, sguardi che ti trapassano l’anima. Come le sue famose “Teste mistiche”, dove i colori e le forme si fondono per creare immagini che sembrano arrivare da un altro mondo.
Un ribelle con il pennello
Non amava le regole. Faceva parte del gruppo “Der Blaue Reiter” (Il Cavaliere Azzurro), un gruppo di artisti che volevano rompere con la tradizione e creare un’arte nuova, libera e selvaggia. E ci riuscirono alla grande!
Un tocco di spiritualità
Jawlensky era un tipo spirituale. Credeva che l’arte potesse connettere l’uomo con il divino. E questa sua ricerca interiore si vede in ogni sua opera, come un filo invisibile che lega i colori e le forme.
Un finale amaro
Purtroppo, la sua vita non fu tutta rose e fiori. La Germania nazista bollò la sua arte come “degenerata” e lui, malato di artrite, fu costretto a smettere di dipingere. Ma anche negli ultimi anni, continuò a creare piccoli capolavori, come a voler gridare al mondo la sua passione per la vita e per l’arte.