Intervista a Ben Eine
Ben Eine è un po’ stufo nell’essere descritto (solo) come uno street artist. Ma se è vero che come street artist ha fatto molta strada dai primi graffiti underground, acquisendo fama internazionale quando David Cameron ha regalato una delle sue opere a Barack Obama durante la sua prima visita di Stato, è difficile capire in quale altro modo definirlo. Dopo aver trascorso vent’anni taggando e cinque lavorando al fianco di Banksy (ed accumulando nel mentre quasi venti arresti, cinque fermi per criminal damage e, solo per poco, evitando di finire in prigione) Ben Eine rimane uno dei più nomi conosciuti nella street art, sebbene questo 45enne non veda l’ora di sfondare nel mercato dell’arte contemporanea.
Sebbene fosse ai più sconosciuto quando Samantha Cameron suggerì una sua opera come regalo per Obama nel 2010, Ben Eine era già famoso nella scena artistica londinese per la sua Alphabet street, un intero alfabeto realizzato sulle saracinesche dei negozi di Middlesex Street, nel cuore di Spitalfiled, East London.
In questo periodo è più facile trovare Eine, il cui vero nome è Ben Flynn, nel suo studio di San Francisco, che in giro ad «imbrattare» le strade a Londra. L’improvvisa fama conquistata dall’avere una propria opera esposta alla Casa Bianca ha permesso al suo nome e al suo impatto commerciale di schizzare alle stelle.
Quando ci incontriamo l’artista sta per partire per il Giappone dove ha una mostra personale di oggetti d’arte, piccoli cubi in metallo e legno su cui campeggiavano le sue tipiche lettere tipografiche. Questi cubi, prodotti in numero limitato di cento, sono in vendita per cifre piuttosto elevate. Questa è la sua prima incursione nel campo della scultura. Essendo qualcosa a metà tra un’opera d’arte e un fermacarte, gli chiedo quale fosse il suo intento. «Veramente non so», risponde ridendo, «sono solo oggetti da ammirare. Io col mio ci vado a letto (ride). In qualche modo migliorano la qualità della vita. Almeno, lo spero. Non so…».
Ora che i suoi quadri sono venduti per decine di migliaia di dollari, le opportunità commerciali diventano più grandi e si presentano in rapida successione. Eine mi confessa che ha in programma di pranzare con il ceo di Luis Vuitton con cui ha già collaborato per una linea di foulard. Non sa ora cosa gli verrà proposto ma si dice «eccitato». Lo scorso anno ha collaborato anche con la Virgin Airways che ha esposto le sue opere nei First Class Lounge (diventando così la prima «galleria d’arte in cielo»).
Chiedo all’artista, vestito con un immacolato maglione di un rosso brillante, jeans costosi e occhiali trendy dalla montatura spessa, come si possano associare marchi di lusso al mondo sporco e non molto luisvuitton a cui appartiene. «Ma noi vendiamo prodotti di lusso. Le mie opere sono trattate tra le 10,000 e le 20,000 sterline. Non sto disegnando skateboards e stickers. Per questo vedo la collaborazione con Luis Vuitton come un naturale incontro tra persone che creano cose belle e ricercate».
Anche quando era un semplice writer, Ben Eine era un tipo molto assennato in senso commerciale. Infatti, oltre ad essere uno street artist, ha lavorato contemporaneamente per 12 anni come impiegato assicurativo presso i Lloyds di Londra. Era solito andare in giro a taggare in giacca e cravatta così che appena arrivava la polizia, si sedeva e fingeva di leggere un giornale. La copertura perfetta.
E dunque, come si concilia l’illegalità dei graffiti con il mondo compassato delle assicurazioni? «Mi occupavo di contestazioni su assicurazioni a lungo termine», dice con apparente riluttanza. «Asbesto, rischi per la salute, inquinamento. Era molto noioso. Ma ho una mente piuttosto matematica, e lo stipendio era buono».
Eine non ha frequentato nessuna scuola d’arte, così ha l’impressione che i vent’anni trascorsi sulle strade siano stati quelli che gli hanno permesso di arrivare dove si trova adesso. «Non avevo nessun progetto, a parte far vedere i miei lavori illegalmente per strada», dice. «Sono classificato come street artist, ma è una descrizione davvero poco accurata di quello che faccio. Ci definiscono street artist perché la nostra carriera è iniziata un centinaio di anni fa con i graffiti e perché dipingiamo per strada. Ma lo facciamo perché la strada è una tela perfetta per il nostro lavoro».
La trasformazione da assicuratore/graffitista a celebrata star internazionale non è avvenuta agilmente come lo scambio di regali tra Cameron e Obama potrebbe suggerire. «Sono stato arrestato un mucchio di volte per i miei graffiti, ma non sono uno che vuole andare in prigione», dice. «Quando mi sono avvicinato al mondo dei graffiti pensavo che avrebbero cambiato il mondo. Ma quando vent’anni dopo ancora non lo avevano fatto, ho iniziato ad annoiarmi delle regole che la scena si imponeva. Allora è stata la volta della street art, e mi sembrava fantastico che si potesse fare di tutto: poster, sticker, sculture, installazioni. Mi piaceva come gli artisti lavoravano con il loro ambiente in maniera creativa. Così mi sono messo a lavorare con Banksy e abbiamo iniziato».
Gli chiedo di Banksy, ma diventa evasivo. Dopo essere stato ciarliero e rilassato, Eine inizia a rispondermi per un po’ a monosillabi, finché non gli torna il buonumore e dice: «Banksy è un artista molto egoista, motivato e paranoico, e per ottime ragioni».
Eine si vede come un protettore delle tecniche artigianali in via di sparizione. Il libro che sta leggendo, Anarchy & Beauty: William Morris and His Legacy, di Fiona MacCarthy, troneggia sul tavolo davanti a noi. Eine concorda quando ipotizzo che per lui la street art non è che un’estensione della filosofia dell’Arts and Crafts Design, portata avanti da William Morris e John Ruskin. In riferimento agli oggetti d’arte che ha appena terminato, i piccoli cubi di legno, cemento e metallo, Eine dice: «Sono così belli. Tutti lavorati a mano. Ho trascorso l’ultima settimana nel mio studio di San Francisco scartavetrandoli e dando le finiture con la cera. Sono degli oggetti così tattili, non riesco a smettere di toccarli. Non so esattamente a cosa servano. Ma cerco di tenere in vita le vecchie tecniche artigianali».
Eine è speranzoso riguardo a futuri miscugli tra l’urban art e il mondo dell’arte mainstream. «Non voglio vendere i miei lavori a collezionisti di street art, ma a collezionisti di arte», dice. «Sta andando già in quella direzione e i lavori ora vengono trattati da gallerie più ricche e qualificate. Per molto tempo è stato più che solo dipingere cazzate in strada».
—Matilda Battersby, qui l’articolo originale: The Independent
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